Sebbene i documenti, allo stato attuale delle ricerche, siano avari di notizie, questa tela ha molto da raccontare. Nei primi anni cinquanta dei Novecento, quando i dipinti sugli altari furono sostituiti da statue, l’opera fu trasferita in sagrestia dal primo altare sulla destra, dove si trovava sopra l’urna con le reliquie di S.Stefano. Non era questa la sua collocazione originaria, ma una sistemazione realizzata probabilmente tra la fine del ‘800 e i primi dei ‘900, per la quale la tela fu adattata, inchiodando in basso una fascia dipinta grossolanamente a tempera. Ben più travagliata fu la sua storia precedente, poichè il dipinto fu interessato non solo a un generico ingrandimento, ma a una vera e propria trasformazione iconografica. In epoca imprecisata nel corso dei sec. XVIII, tutta la parte bassa della tela, nonchè la zona centrale ai piedi del trono della Vergine, fu occultata, inserendo in primo piano la figura di S.Lucia con la palma e gli occhi, simbolo del suo martirio. Indagini radiografiche hanno rivelato nella parte nascosta la presenza di due figure a mezzo busto, una maschile a sinistra e una femminile sulla destra, committenti del dipinto originario.
Nell’intervento di trasformazione dunque, realizzato da un pittore piuttosto mediocre, si volle cancellare il ricordo di coloro che avevano commissionato l’opera, dando un nuovo significato all’intera composizione per la collocazione decisamente preminente di S.Lucia rispetto agli altri santi, tra i quali risaltavano accanto ai patroni di Pistola, ben tre domenicani. La devozione verso Santa Lucia era profondamente radicata nella pieve di S.Stefano, dove si trovava un altare a lei dedicato, collegato all’omonimo Ospedale di Serravalle. Per quanto riguarda il dipinto originario, è stata avanzata l’ipotesi (E.Salvi, in «La Voce», a.VI, fasc. 1 e 2, 198586, p.93) che autore dell’opera possa essere Bernardino dei Signoraccio, documentato come esecutore di una tavola per S.Stefano, a causa della quale nel 1521 era in corso una lite tra l’Opera e il pittore. Sebbene oggetto della lite non possa essere la nostra tela, puntuale è il richiamo all’ambiente pistoiese della prima metà dei secolo XVI in cui, accanto all’attiva bottega dei Signoraccio, operava il peruginesco Gerino Gerini e Leonardo Malatesta.In questo ambito si collocano le ingenue e stereotipate figurine dei Santi, mentre duole la perdita dei due austeri ritratti dotati, a quanto è dato intuire, di ben più forte carattere.
Restauro realizzato con fínanziamenti statali da Silvia Verdianelli. Le indagini radiografiche sono state realizzate dal Laboratorio di Fisica dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, diretto dal dottor Alfredo Aldrovandi.