Il dipinto raffigura S. Francesco nel momento in cui, con le braccia sollevate e il volto reclinato in stato di estasi e di abbandono, riceve le piaghe delle stimmate. Sotto un cielo nuvoloso rischiarato dall’apparizione miracolosa dei Serafino, la scena si svolge nella solitudine di un ambiente montano, con la sola presenza, appena percettibile in secondo piano, di frate Leone assorto nella lettura. L’opera è una fedele riproposta pittorica di una famosa incisione, realizzata nel 1586 da Agostino Carracci. Unica variante rispetto al prototipo è che nel dipinto manca il cartiglio con le parole “Ego enim stigmata domini nostri Jesu Christi in corpora meo porto”, posto accanto al teschio, che sottolineava la stretta analogia tra S.Francesco e il Cristo. La stampa di Agostino Carracci, che introdusse una nuova iconografia dell’evento che lo accentuava fortemente in senso mistico, ebbe grande fortuna, tanto da essere riedita fino alla metà dei sec. XVIII. A questo periodo è da riferire la tela di Serravalle che è stata attribuita da Alessandro Nesi (“Riscoprendo l’Ortolanino”, in “Tremisse Pistoiese” 59160, gen-ag. 1996, pp. 37-39, n.7) alla produzione più avanzata dei pittore pistoiese Pietro Marchesini detto l’Ortolanino.
Attivo tra Pistola, Prato e Firenze nella prima metà dei ‘700, l’artista si caratterizza per un’ampia varietà di registri stilistici che attingono sia al repertorio della pittura fiorentina, che a quella veneta e bolognese. L’uso di realizzare copie da maestri dei passato, documentato dalle fonti (I. Hugford, “Vita e raccolta di cento pensieri di Anton Domenico Gabbiani”, 1762), trova riscontro non solo nel dipinto di Serravalle, ma anche in altre opere a lui riferite che propongono celebri lavori di Ludovico Carracci, Guido Reni e Carlo Dolci (vedi S.Casciu, in Arte Cristina», 1990, n.739,p. 257; M.P.Masini, “Il Compianto su Cristo morto”, S.B.A.S. Firenze 1999; S.Bellesi, in “Il Settecento a Prato”, a cura di R.Fantappiè, 1999, p.92). Allo stato attuale delle ricerche nulla stappiamo sulla originaria collocazione dell’opera, che intorno al 1950 emigrò in Compagnia dal primo altare a sinistra, dove fu sostituita da una statua.
Restauro realizzato con finanziamenti statali, dal laboratorio ‘Picta’ di Miriam Fiocca, Firenze